Under the title AMONG THE INVISIBLE JOINS, Museion is exhibiting over 150 works by more than 80 artists from one of the most visionary and significant private collections of international contemporary art in Italy: the Enea Righi Collection, which shaped Museion’s research into transdisciplinary, poetic, and socio-politically engaged artistic practices for over a decade.
The title AMONG THE INVISIBLE JOINS is borrowed from the writing of Virginia Woolf, in which human life unfolds as a testament to its fluidity, brimming with potential and uncertainty. Her characters delicately hover between presence and impending absence, grappling with the memory of events and conflicts that prove elusive to full comprehension. The title therefore hints at the various thresholds between remembering and forgetting and the recurring acts of opening and closing doors on the continuous human journey of becoming. As such, the exhibition traces the intimate connections between life itself and the stories we tell, between what was and what remains physically perceptible. Above all, it highlights the collectors’ understanding of the transformative power of art by providing profound insights into life’s fluidity.
The works selected for AMONG THE INVISIBLE JOINS encourage viewers to ponder the transitional spaces of contemporary existence, where socio-political tensions intertwine with artistic expression. Throughout their artistic and sometimes activist work, artists such as Lisetta Carmi, Nan Goldin, and Zoe Leonard have emphasized the fluid nature of identity by regarding bodies as open systems in a permanent exchange with the environment. The works of Giulia Cenci, Jef Geys, Roman Ondak, Tarik Kiswanson and Bronwyn Katz are just a few examples of how doors, and windows recur in the exhibition as potent motifs that frame the human body as well as marking transitions and thresholds. Objects from daily life, urban architecture, and public décor – like Alex Ayed’s sculptures or Michael E. Smith or Massimo Bartolini’s installations – are relocated and reframed by the artists to compose new narratives and weave unexpected connections between geographies and memories.
The exhibit design, resulting from a very long and delicate collective work, was conceived as a tool to establish an intimate relationship between visiting people and the works, to embark on sensory-expanding journey on the threshold between inside and outside, the self and the other, lived experiences and their representation. Ultimately as an infrastructure that would “break” institutional logic by creating hybrid boundaries and building relationships and interactions, asking questions rather than giving answers.
Con il titolo AMONG THE INVISIBLE JOINS, Museion presenta oltre 150 opere di più di 80 artiste e artisti provenienti da una delle più visionarie e significative collezioni private di arte contemporanea internazionale in Italia: la Collezione Enea Righi. che ha plasmato per oltre un decennio la ricerca museale su pratiche artistiche transdisciplinari, poetiche e socio-politiche.
Il titolo AMONG THE INVISIBLE JOINS, letteralmente “tra le giunzioni invisibili”, è preso in prestito da uno scritto di Virginia Woolf, in cui la vita umana si dispiega a testimonianza della sua stessa fluidità, ricca di potenziale e incertezze. I suoi personaggi si muovono delicatamente tra la presenza e l’assenza incombente, alle prese con il ricordo di eventi e conflitti che si rivelano sfuggenti alla piena comprensione. Il titolo allude ai confini che separano ricordo e dimenticanza, all’atto ricorrente di aprire e chiudere porte nel divenire umano. Allo stesso modo, la mostra traccia intime connessioni tra la vita stessa e le storie che raccontiamo, tra ciò che è stato e ciò che rimane fisicamente percepibile. Evidenzia soprattutto la comprensione da parte dei due collezionisti del potere trasformativo dell’arte, fornendo profonde intuizioni sulla fluidità della vita.
Le opere selezionate per AMONG THE INVISIBLE JOINS incoraggiano spettatori e spettatrici a riflettere sugli spazi di transizione dell’esistenza contemporanea, dove le tensioni socio-politiche si intrecciano con l’espressione artistica. Nel corso della loro pratica artistica, o talvolta attivista, artiste come Lisetta Carmi, Nan Goldin e Zoe Leonard hanno inteso l’identità come qualcosa di fluido e i corpi come sistemi aperti in costante scambio con l’ambiente circostante. Le opere di Giulia Cenci, Jef Geys, Roman Ondak, Tarik Kiswanson e Bronwyn Katz sono solo alcuni esempi di come porte, cornici e finestre ricorrano come potenti motivi nella mostra, che inquadrano il corpo umano e contemporaneamente segnano transizioni e soglie. Oggetti provenienti dalla vita quotidiana, dall’architettura urbana e dall’arredamento pubblico – come nelle sculture di Alex Ayed o nelle installazioni di Michael E. Smith e Massimo Bartolini – sono ricollocati e reinquadrati per comporre nuove narrazioni e tessere connessioni inaspettate tra geografie e memorie.
Il design della mostra, frutto di un lavoro collettivo molto lungo e delicato, è stato concepito come uno strumento per stabilire una relazione intima tra le persone in visita e le opere, per intraprendere un viaggio sensoriale sulla soglia tra interno ed esterno, tra il sé e l’altro, tra le esperienze vissute e la loro rappresentazione. In definitiva come un’infrastruttura che “rompesse” la logica istituzionale creando limiti ibridi e costruendo relazioni e interazioni, ponendo domande più che dando risposte.
